L’occasione, a metà fra storia e leggenda, che portò alla nascita della pizza così com’è oggi intesa, la conoscono tutti. Napoli, giugno 1889: il cuoco Raffaele Esposito, della pizzeria Brandi, in via Chiaia, viene convocato a Palazzo di Capodimonte, residenza estiva della famiglia Savoia, perché prepari per Sua Maestà la Regina Margherita una delle sue famose pizze. Fino ad allora, con il termine “pizza” in tutta Italia si definiva una sorta di torta dolce, e soltanto a Napoli veniva considerata pizza un impasto con farina, acqua e sale condito col pomodoro. Esposito risponde all’invito presentando per la prima volta una pizza con pomodoro, mozzarella e basilico, i colori della bandiera italiana, a cui dà proprio il nome della regnante. Prende così il via un successo planetario.
Altri invece, carte alla mano, sostengono che quella pizza fosse già stata inventata da quasi un secolo. Come che sia, la leggenda è stata rinverdita dai media di tutto il mondo a metà dicembre 2017, quando l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità “l’Arte tradizionale dei pizzaiuoli napoletani”.
Ciò che molti hanno omesso di ricordare è che anche la pizza surgelata ha riscosso un successo clamoroso, nel mondo e in Italia. Prima di vedere nel dettaglio le ragioni del gradimento di un prodotto che esalta al meglio il connubio fra tradizione e modernità, naturalità e sicurezza, freschezza e convenienza economica espresso da tutti gli alimenti surgelati, ecco un po’ di storia.
La pizza surgelata nasce da un italo-americano. Ma è tutta un’altra cosa
Come tutti gli alimenti surgelati moderni, anche la pizza surgelata, o almeno un prodotto recante questo nome, nasce negli Usa una ventina di anni dopo che Charles Birdseye, nel 1930, aveva presentato in una ventina di negozi di Springfield, Massachusetts, filetti di merluzzo e altri 17 tagli di carne e pesce surgelati, oltre a frutta e verdure quali spinaci, piselli, frutti di bosco e lamponi. Stavolta però – e non avrebbe potuto essere altrimenti – l’inventore è figlio di immigrati italiani, Joseph Settineri (ma non mancano altre attribuzioni di paternità, tutte di origine rigorosamente italo-americana). Nel 1947 Joseph vendeva ravioli e, con l’aiuto del fratello Cyrus, gestiva la Roman Products Corp. Gli affari andavano bene perché, allora come oggi, richiamarsi alla cucina italiana poteva rivelarsi vincente. Nel dicembre di quell’anno i Settineri decisero di raddoppiare presentando un prodotto che aveva il nome di “pizza” ma, in realtà, mirava ad incontrare i tempi e le esigenze dell’American Way of Life, mettendo al primo posto la praticità d’uso. Fondarono la Roman Pizza e, grazie alla pubblicità televisiva (nel 1948 il 4 per cento delle famiglie americane possedeva una tv, nel 1955 erano diventate il 50 per cento), promossero il prodotto in tutto il Paese. Sei anni dopo, nel 1953, furono vendute 7 milioni di pizze surgelate.
Il punto però è che, a parte il nome, la pizza made in USA e quella made in Italy avevano, e hanno tuttora, ben poco in comune, perché le pizze di oltre Atlantico sono “troppo”: troppo ricche, troppo condite, spesso con un affastellamento di ingredienti privo di apparente (e forse di reale) logica. Sono, insomma, lontane anni luce dalle pizze inventate, preparate e consumate nel nostro Paese: secondo i dati dell’Accademia dei Pizzaioli, marinara o margherita, con il cornicione alto o basso, l’impasto soffice o sottile, tonda o rettangolare, in Italia la pizza è un business da 12 miliardi di euro annui, che dà lavoro a 150 mila persone, sforna ogni giorno 5 milioni di pizze in 63mila pizzerie e locali per asporto, taglio e trasporto a domicilio, e utilizza in un anno 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di mozzarella, 30 milioni di olio di oliva e 260 milioni di salsa di pomodoro.
Negli anni 60 arriva in Italia. E soddisfa le esigenti aspettative del consumatore
In Italia la pizza surgelata arriva negli anni Sessanta con il compito, non facile, di sfidare la concorrenza del prodotto “fresco” (per così dire), la cui forza è riassunta dai numeri appena ricordati. Eppure, la sfida è stata vinta, come testimoniano i dati di consumo del 2016 (i più recenti ad oggi disponibili), anno in cui sono state vendute circa 63 mila tonnellate di pizza surgelata, pari a quasi l’8 per cento di tutti gli alimenti surgelati consumati nel nostro Paese, che ne fanno la quarta tipologia di prodotto più diffusa dopo vegetali, patate e prodotti ittici surgelati.
Alla base di questo successo c’è una rivoluzione produttiva: quella che, agli inizi degli anni Novanta, trasformò il modo di produrre la pizza surgelata adottato inizialmente e sintetizzabile con l’acronimo LTLT (Low Temperature, Long Time), nel cosiddetto HTST (High Temperature, Short Time). In sostanza, dopo un complesso lavoro di studi e sperimentazioni, l’industria del surgelato passò dal sistema di preparazione tipico dei panificatori (forno a 250-280° C e tempo di cottura di 20-25 minuti) a quello dei pizzaiuoli (forno a 400° C e 2-4 minuti di cottura).
Da allora l’offerta di tipologie, formati, spessori, farciture è enormemente aumentata, in linea con gli ottimi riscontri provenienti da un consumatore che – secondo una recente indagine promossa dall’IIAS – apprezza la pizza surgelata per i suoi contenuti di convenienza, varietà e originalità. Oltre che, ovviamente, per la sua bontà giudicata, in tutto e per tutto, simile a quella gustata in pizzeria.
Buona, varia, conviviale, conveniente. E sempre più… Margherita
La citata indagine IIAS analizza in profondità i motivi che trainano un acquisto sempre più consapevole da parte del consumatore italiano delle molteplici varietà di pizza surgelata presenti sul mercato. Queste le conclusioni principali.
- I contenuti di convenience (praticità, velocità, risultato sicuro) sono un prerequisito all’interno di un ventaglio di valori nei quali predominano l’attrattiva del gusto e il clima conviviale che circonda il consumo di pizza. La pizza surgelata è associata a un’atmosfera di allegria, convivialità, buon umore; evoca la spensieratezza mentale di una cena già risolta; rimanda a un’elevata gratificazione in termini di esperienza di prodotto (sfizio, piacere, appagamento, calore del forno).
- Le occasioni di consumo sono molteplici, spesso più rituali che emergenziali. La «serata pizza» (familiare, di coppia, e amicale) è spesso descritta come un appuntamento atteso, e anche il consumo individuale rientra nella dimensione della desiderabilità.
Per quanto riguarda le tipologie di pizze più richieste, i dati IRI relativi al 2006 e al 2017 indicano come, nell’ambito di un forte aumento del valore mercato della pizza surgelata (quasi raddoppiato, da 130 a 254 milioni di euro), sia aumentata la quota destinata alla… tradizionale pizza Margherita, passata da meno di un terzo a quasi la metà del totale. Il buon Raffaele Esposito, da lassù, ne sarà sicuramente orgoglioso.