Il 2021 è stato un anno ancora difficile per la ristorazione italiana: la prosecuzione delle misure restrittive per quasi tutto il primo semestre ha significativamente compromesso la possibilità di riassorbire le pesanti perdite di fatturato registrate nel 2020, sebbene i consumi alimentari fuori casa abbiano realizzato un +20% a valore (65 miliardi di euro vs. i 54 del 2020). Di questo trend hanno beneficiato anche i prodotti surgelati, che hanno registrato un aumento dei consumi pari al +19,6% a volume, attestandosi a 240 mila tonnellate e tornando a ricoprire il ruolo di elemento/alimento sempre più centrale nelle scelte di offerta della ristorazione collettiva.
Prima dello scoppio della pandemia, la quota dei consumi di surgelati Fuoricasa era arrivata a sfiorare il 40% del totale, grazie a un trend di aumento consolidatosi nel tempo. Nel 2020, con l’arrivo del Covid, il pesante crollo: -37% a volume in un solo anno.
Nel 2021, invece, la “svolta”: i consumi di surgelati nel Fuoricasa sono stati protagonisti di una buona ripartenza e, anche se il valore è ancora lontano da quello degli anni pre-Covid, ci sono valide premesse perché questa continui. Il merito è tanto delle qualità intrinseche dei surgelati (disponibilità 365 giorni all’anno, porzionabilità, varietà di proposte, convenienza economica complessiva, sicurezza igienica dei prodotti), che fanno di questi alimenti la risposta più completa alle esigenze di chi gestisce ristoranti, tavole calde, mense e bar, quanto dell’impegno degli operatori della ristorazione collettiva a favorire le migliori condizioni di consumo dei surgelati.
Eppure, oggi permangono ancora alcune condizioni, esclusivamente (o quasi) italiane, il cui superamento consentirebbe ai surgelati di assumere anche fuori casa l’importanza che meritano per le loro qualità di gusto, varietà, salute, sicurezza e lotta allo spreco alimentare.
Ne è esempio la presenza dell’asterisco sui menù: nel nostro Paese, infatti, un ristoratore viene sanzionato se, nel proprio menu, non contrassegna con un asterisco accanto a un piatto l’eventuale presenza di uno o più ingredienti congelati o surgelati. L’obbligo dell’asterisco non è previsto da una legge dello Stato, ma è il frutto di un orientamento della giurisprudenza italiana, che risulta ormai anacronistico e basato su un’idea di alimento surgelato ampiamente superata, in primis dai consumatori.
Per 7 italiani su 10, infatti, quando al ristorante leggono che un piatto ha uno o più ingredienti surgelati, l’informazione è ritenuta ininfluente per la loro scelta (64%) o inutile (5%)[1].
Del resto, più di 9 italiani su 10 portano ormai abitualmente sulle proprie tavole i prodotti surgelati, entrati a far parte della dieta alimentare dei nostri connazionali, che li apprezzano per la praticità, la sicurezza, la trasparenza delle informazioni in etichetta, le proprietà nutrizionali pressocché analoghe a quelle dei prodotti freschi, la possibilità che offrono di variare spesso il menù e la capacità di ridurre gli sprechi.
“I prodotti surgelati – commenta Giorgio Donegani, Presidente IIAS – fanno ormai pienamente parte delle abitudini alimentari degli Italiani e non si capisce perché, nella ristorazione, sia necessario segnalare la presenza di un ingrediente/alimento sottozero, quasi ad indicare che ciò significhi una qualità inferiore rispetto a un alimento fresco. E invece, oggi i surgelati sono buoni, nutrienti e sicuri quanto e a volte più di qualsiasi altro tipo di alimento, grazie a un processo produttivo tecnologicamente all’avanguardia, che fa raggiungere rapidamente alla materia prima fresca la temperatura di -18° C e mantiene in questo modo al meglio le sue qualità organolettiche e nutrizionali. Perciò, può davvero l’asterisco essere lo strumento più adeguato a tutelare una scelta informata e consapevole del consumatore, o invece rischia solo di fornire un’accezione negativa e fuorviante di un prodotto alimentare di assoluta qualità?”.
Sulla risposta a questa domanda non ha dubbi la FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), secondo cui “l’obbligo dell’asterisco sui menù è il frutto di un’interpretazione del tutto anacronistica, rimasta ancorata a schemi passati e a modelli di consumo superati, che non riesce a comprendere come le tecniche di congelamento/surgelazione si siano evolute nel tempo, garantendo oggi una qualità e una salubrità perfino superiori al prodotto trattato come fresco. Il consumatore di oggi ha conoscenze, esperienze e un accesso alle informazioni talmente rafforzato che non ha bisogno di un asterisco protettivo per essere garantito sui propri consumi”.
Lo stesso pregiudizio verso i surgelati, ampiamente superato dagli Italiani ma non dal Legislatore, si ritrova nei nuovi Criteri Ambientali Minimi (CAM) per il servizio di ristorazione pubblica. La normativa, infatti, continua a limitare fortemente, senza alcuna base scientifica, la tipologia degli alimenti surgelati ammessi nella refezione pubblica, anche scolastica, consentendo il consumo esclusivamente di 4 prodotti vegetali – piselli, fagiolini, spinaci e biete – e di prodotti ittici selezionati in base all’area di pesca (sono ammessi solo quelli provenienti dalle zone geograficamente più vicine all’Italia: Mediterraneo, Mar Nero, Atlantico Nord-Orientale e Mar Baltico).
“IIAS ritiene che il tema meriterebbe una riflessione pubblica, volta a sgombrare il campo da pregiudizi datati e privi di logica, con l’obiettivo di nobilitare l’uso degli alimenti surgelati anche nel campo della ristorazione collettiva (mense, scuole, ristoranti), contribuendo a diffondere una corretta cultura del prodotto sottozero”, conclude il Presidente Donegani.
[1] Fonte: INDAGINE IIAS- BVA-DOXA 2021